“Obbiettori di crescita”
Ovvero l’anti produttivismo come mezzo per sconfiggere il neoliberismo capitalistico e rimettere l’uomo e i propri bisogni nel rispetto della natura al centro dell’evoluzione umana.
Un passo di transizione necessario per permettere all’uomo la possibilità di ripensare alla propria giusta posizione filosofica, culturale, sociale
nell’economia globale del pianeta….di fatto l’unica crescita consentita.
Ci sono misure che si possono adottare per favorire questa transizione. Ad esempio:
– internalizzare i costi del trasporto,
– rilocalizzare le attività,
– restaurare l’agricoltura contadina,
– stimolare la «produzione» di beni relazionali,
– ridurre lo spreco di energia di un fattore 4,
– penalizzare fortemente le spese di pubblicità, e vietare quelle “non veritiere”.
– decretare una moratoria sull’innovazione tecnologica, fare un bilancio serio e riorientare la ricerca scientifica e tecnica in funzione delle nuove aspirazioni.
– Vietare le proprietà intellettuali di interesse al bene comune,
– riconvertire le fabbriche inutili (come quelle automobilistiche) in fabbriche di apparecchi di cogenerazione energetica,
– ritrovare un fabbisogno ecologico uguale o inferiore alla superficie del pianeta, vale a dire una produzione materiale equivalente a quella degli anni 1960-70,
– aiuti ed assicurazioni soltanto a chi ha riconvertito il proprio terreno al biologico,
– ecc….
LA CRESCITA è necessaria alle democrazie consumiste perché in mancanza di una prospettiva di consumo di massa, le disuguaglianze sarebbero insopportabili (già lo stanno diventando a causa della crisi dell’economia di crescita). La tendenza al livellamento delle condizioni e il fondamento immaginario delle società moderne.
Pura illusione …si fanno i conti senza l’oste : la natura.
La vera questione è : le masse “ricche del nord” sono di fatto pronte ad abbandonare le false promesse di accrescimento del loro livello di vita al prezzo di un aggravamento delle ingiustizie sociali planetarie ?
Difficile ma una soluzione forse c’è e si chiama “democrazia ecologica locale”, un idea che parte da un riassetto territoriale, bonifica e ricostruzioni ambientali dal basso, cioè dal vissuto dei cittadini con le loro attese e soluzioni, un villaggio globale, le bio-regioni, con una “democrazia delle culture” lontano anni-luce da un governo mondiale, dove pluralismo e diversificazione sono le parole d’ordine.
Bisogna fare in fretta perché esiste un pericolo incombente, molti personaggi influenti non credono nelle capacità delle società “democratiche” di prendere le misure che s’impongono e vedono come unica via d’uscita dai vincoli una forma di eco crazia autoritaria: eco fascismo o eco totalitarismo.
Ovviamente questa possibilità ha ragion d’essere per pura paura dei poteri forti di perdere il controllo perché sanno (forse meglio di noi) che nell’impossibilita di rovesciare frontalmente la dominazione del capitale e delle potenze economiche mondiali, i cittadini possono scegliere il dissenso e una strategia progressiva di transizione attraverso la riconquista e reinvenzione dei “commons” nonché l’auto-organizzazione del micro e macro villaggio.
Perciò quello che dobbiamo chiedere a chi ci rappresenta non è una vaga e nebulosa “non politica” ma delle scelte precise nell’interesse del bene comune ed indirizzate ad uscire dall’utopia della Crescita a tutti i costi.